Translate

giovedì 6 agosto 2020

Ricordando Maria Bozza


Sono ormai trascorsi cinque anni da quando la nostra amica Maria Bozza ci ha lasciati, lasciando in tutti noi un grande vuoto. Cinque anni e ancora non riesco a scrivere due righe su di lei. Ci ho provato tante volte; poi mettevo da parte il testo perché mi sembrava incompleto, troppo distante da quello che Maria è stata per me e per tutti quelli che l'hanno conosciuta. 

Forse è solo un modo per esorcizzare la sua perdita, per non voler accettare la sua morte, il non poterla più avere vicina fisicamente.

Ancora oggi, ascoltando certe notizie sugli «ultimi», mi viene spontaneo pensare a lei, l'istinto mi porterebbe a telefonarle o a mandarle un messaggio per avvisarla, per condividere la notizia con lei e ascoltare il suo parere, come facevamo spesso.

 

Ricordo il nostro primo incontro, grazie ad amici comuni che mi avevano coinvolto in un percorso per costituire anche a Gioia un gruppo della Comunità di Sant'Egidio, la sua vita, a cui ha dedicato fino all'ultimo tutte le sue energie.

Per tutti lei era «Maria della Comunità di Sant'Egidio», come usava presentarsi, entrando subito in empatia con chiunque, anche chi era lontano da ogni percorso di fede o viveva un diverso credo politico o religioso. Anche a Gioia molti la conoscono semplicemente così e forse ricordano ancora il suo sorriso.

Ho scoperto il suo cognome solo in seguito, quando abbiamo avviato un primo contatto via mail e poi telefonicamente. Abbiamo anche scherzato sul suo cognome «Bozza», che sembrava in linea con i miei sogni di scrittore esordiente. Un percorso che lei ha condiviso in parte, leggendo i miei articoli sulla Comunità sul bollettino parrocchiale «alternativo», «La Porta Celeste», che in quegli anni curavo in parallelo a quello ufficiale. Tante volte mi aveva anche consigliato di propormi a qualche giornale locale, a cercare di far fruttare il mio talento per la scrittura, anche economicamente, mettendo da parte le altre collaborazioni gratuite che sottraevano solo tempo alla mia attività letteraria.

Purtroppo non ho mai avuto modo di donarle i libri che ho poi finalmente pubblicato; a volte mi chiedo se le mie parole avrebbero potuto aiutarla a non sentirsi sola nel suo ultimo percorso.

Il trasferimento a Policoro dopo il matrimonio con Bruno, la nascita delle sue bambine, poi la malattia, unite alla mia scarsa propensione agli spostamenti ci hanno impedito di poterci rivedere di persona negli ultimi anni, non mi hanno permesso di poter seguire da vicino il suo cammino di moglie e di mamma. Ci limitavamo allo scambio di qualche sms e telefonata saltuaria.

In occasione del mio compleanno anni fa mi rivelò di essere in attesa della seconda bimba; una grande gioia, soffocata qualche mese dopo dal dolore per la sua malattia, che appresi poi da una comune amica, rimanendo senza parole.

 

Mi restano di lei le immagini «rubate» da un servizio della RAI sull'iniziativa in favore dei migranti «Fiori per la vita» del maggio 2015, un corteo silenzioso per ricordare le migliaia di vittime dei naufragi, da lei fortemente voluta a Policoro pochi mesi prima della sua morte. 

Immaginarla su una sedia a rotelle, che nel video non si vede, ma si intuisce, sapere che lei non poteva più guidare autonomamente, dopo migliaia di chilometri percorsi per organizzare iniziative, costruire ponti di pace, mi ha molto rattristato, ma nella sua voce sentivo ancora l'entusiasmo, la forza di un tempo. Quasi che il corpo sofferente non riuscisse a contenere la sua enorme energia.

Mi rimane soprattutto il ricordo della nostra ultima telefonata, a lungo cercata, che mi ha permesso di risentire la sua voce e il suo entusiasmo, nonostante tutto; sentirla parlare dei progetti sulla raccolta differenziata nelle scuole e altre cose che aveva in mente di organizzare. Sentire la gioia di esserci finalmente ritrovati, la tristezza per chi l'aveva abbandonata nel periodo della malattia, per chi evitava di andarla a trovare «per ricordarla com'era». Si dice così, spesso, lasciando i malati soli proprio nel momento più difficile. Confesso di aver avuto anch'io difficoltà a ristabilire un contatto, a volta per paura di disturbare il suo difficile percorso, a volte per paura di non sapere cosa dire, di non poterla aiutare. Parlando con lei ho compreso che già parlare poteva essere un grande aiuto; dialogare senza filtri, senza ipocrisie, chiamando per nome la sua malattia, quel tumore che ce l'ha piano piano tolta. È inutile girarci intorno fingere che non ci sia; a volte chi è malato ha anche bisogno di poter guardare in faccia il suo nemico, poterne parlare liberamente per poterlo sconfiggere.

Sicuramente avrei potuto, forse avrei dovuto fare di più, ma Maria ha sempre conosciuto i miei limiti, quelli che mi hanno a volte impedito di impegnarmi in maniera più decisa nel percorso della Comunità, come facevano lei e gli altri amici di Laterza, di Roma, Bari e di ogni parte del mondo.

In questi anni ho spesso provato a descrivere Maria, a fare un suo ritratto per presentarla a chi non ha avuto modo di conoscerla. Descrivere il suo impegno nella comunità di sant'Egidio a fianco dei poveri, degli anziani, degli stranieri, di chi soffre o sta cercando di ridare un senso alla propria vita. Descrivere il suo impegno nel lavoro e nello studio, la laurea in Filosofia e poi in Scienze Religiose; il suo amore per la famiglia, per suo marito Bruno e le figlie Angelica e Sara Pace. Ne veniva fuori un'immagine quasi «agiografica», forse lontana dalla sua «straordinaria normalità». In realtà Maria parlava poco di sé, della sua vita privata; forse per compensare il suo forte impegno «pubblico», la sua perenne apertura verso gli altri, mantenendo uno spazio privato tutto per sé da riservare solo alle persone più care.

Descrivere quello che io scherzosamente chiamavo «il metodo Bozza», il suo modo di approcciare le persone sconosciute e avvolgerle con la sua energia, presentando in pochi minuti la storia e le attività della Comunità di sant'Egidio e poi a raffica la proposta del momento. Un modo di fare che forse anche noi abbiamo cercato di copiare malamente, senza capire che l'empatia nasce dal cuore, dal nostro atteggiamento e non dalle parole che usiamo.

 

Potrei raccontarvi del suo impegno incessante a fianco dei poveri, dei condannati a morte, degli anziani, degli stranieri. Le tante conferenze sul «Vangelo della Pace», i convegni e gli incontri di preghiera per la pace organizzati anche qui a Gioia insieme a Corrado, ruotando tra le varie parrocchie perché nessuno si sentisse escluso e tutti si sentissero parte di questo cammino ecclesiale. Il suo impegno per il «Pranzo di Natale» per i poveri e per un percorso che li seguisse tutto l'anno.

La scommessa di far aderire Gioia del Colle all'iniziativa «Cities for Life», «Città per la vita contro la pena di morte», che prevedeva l'accensione simbolica di una luce verde per illuminare un monumento ogni 30 novembre e ogni qual volta veniva graziato un condannato a morte o uno stato aboliva la pena di morte. Ci siamo riusciti il 30 novembre 2004, durante l'amministrazione Vito Mastrovito, illuminando il monumento dei Martiri, nei pressi del Castello Svevo. Nei vari cambi di amministrazione avvenuti negli anni successivi è stato piano piano dimenticato l'impegno preso allora dal nostro Comune, che formalmente credo risulti ancora iscritto nella lista delle «Città per la vita». Oggi le luci colorate illuminano il nostro municipio con altri fini e altri costi.

Gli incontri sul progetto «Dream» contro l'AIDS in Africa e nelle regioni più povere, gli incontri contro la pena di morte in occasione della esecuzione di Dominique Green, il primo condannato a morte con cui la comunità ha attivato una corrispondenza. Per tutti noi ormai quasi un amico, anche se non tutti abbiamo avuto modo di scrivergli, di cui abbiamo seguito con apprensione e poi con tristezza il tragico destino. Gli incontri con Joaquin Josè Martinez, ex condannato a morte negli USA, poi scoperto innocente grazie a nuove testimonianze, presso il liceo scientifico «Ricciotto Canudo»; l'incontro con SueZann Bosler, fondatrice dell'associazione «Journey of Hope», che da anni si batte per salvare dalla pena capitale l'uomo che ha ucciso suo padre e ferito gravemente lei.

La visita periodica agli anziani ospitati nella allora «Casa di Riposo Padre Semeria», i momenti di preghiera nella cappella della struttura, «il pasto caldo» offerto ai venditori ambulanti accorsi per la festa di san Filippo, progetto poi continuato dal Centro d'Ascolto «Dal Silenzio alla parola» e tante altre iniziative, di cui Maria è stata animatrice e anima, impegnandosi in prima persona insieme agli amici della comunità di Laterza, di Roma e al piccolo gruppo di Gioia.


Perdonatemi il lungo elenco, ma ci tenevo che Gioia potesse far memoria di quanto fatto in questi anni nel nostro paese, un percorso che purtroppo si è poi progressivamente interrotto e di cui molti non hanno più memoria.

Non è facile raccontare Maria nella sua «straordinaria normalità», la capacità di essere motore di mille iniziative senza mettersi in mostra, cercando piuttosto di spingere gli altri a essere protagonisti attivi, valorizzando le capacità e le competenze di ciascuno.

Non capivo, a volte, quella sua innata capacità di entrare subito in empatia, di comunicare immediatamente con le persone che non conosceva. Pensavo fosse solo una sua peculiarità, molto lontana dal mio modo di essere e di rapportarmi con gli altri.

A volte mi sentivo inferiore, incapace non solo di stare al suo passo, ma spesso anche di seguire la sua scia. Lei non mi ha fatto mai pesare queste differenze, riuscendo a valorizzare le mie competenze. Diceva che era solo questione di tempo, che non c'era niente di eccezionale in quello che faceva, che tutti potevamo percorrere lo stesso cammino, persino io, mettendo da parte la mia innata timidezza.

Mi ha incoraggiato tante volte a non desistere quando, dopo le prime visite agli anziani della casa di riposo di «Padre Semeria» ho deciso di fare un passo indietro, triste per la mia incapacità di creare un dialogo con loro. Mi sembrava inutile, troppo poco limitarsi ad ascoltare; poi ho capito che forse anche quei miei silenzi potevano essere importanti, che per alcuni di loro era già un grande dono che qualcuno li stesse ad ascoltare e andasse a trovarli ogni settimana.

Il percorso del gruppo gioiese della Comunità di Sant'Egidio è stato forse breve, per certi versi infruttuoso, visto che non siamo riusciti a farlo andare avanti, ma è stato comunque utile, importante averne fatto parte. Ringrazio Chiara, Luciano, Enza, Vincenzo, Rosaria, Giovanna, Isabella e tutti gli altri che con me hanno fatto parte del piccolo gruppo che ha portato per qualche anno la comunità di Sant'Egidio anche a Gioia.

Questo cammino ci ha permesso di conoscere Maria, Francesca, Fausta, Domenico e Francesco del gruppo di Laterza; Corrado, Valeria, Luciana, Paola, Andrea, Hadrian e Simone del gruppo di Roma; Mino, Maria Luisa, Stefano, Bianca del gruppo di Bari; di incontrare Pasquina, Tani, Nico e tanti altri che sicuramente starò dimenticando inconsapevolmente. Ha fatto nascere delle amicizie ancora vive, anche se purtroppo non si ha l'occasione per incontrarsi frequentemente.

Cinque anni fa al funerale di Maria c'eravamo tutti, talmente tristi e disorientati da trovare a malapena la forza di scambiare un abbraccio e poche parole. Riunirci insieme quel giorno è stato forse il suo ultimo dono, un miracolo forse, il suo desiderio di volerci accanto a lei per l'ultima volta. E anche l'impegno a non dimenticarla mai e a continuare a percorrere il sentiero che lei ci ha mostrato, su cui abbiamo camminato insieme.

Dopo quel giorno non sono più stato a Laterza, nonostante i ripetuti inviti agli incontri che la Comunità ha continuato a realizzare anche nel suo nome. Forse per non avvertire la sua assenza andando nei luoghi che abbiamo frequentato insieme, non poterla riabbracciare o risentire la sua voce.

Mi manca tanto. So che lei c'è ancora, nei nostri cuori, nei ricordi di tutti quelli che l'hanno conosciuta, degli anziani, dei poveri, degli stranieri a cui ha donato anche solo un sorriso.

Un bacione Maria. E un abbraccio a Bruno, alle vostre bimbe e a tutti i tuoi familiari e amici, a chi continua a perpetuare il tuo ricordo e custodirti nel proprio cuore ogni giorno.

Scusami se con le mie parole sono riuscito a raccontare solo una parte di te, se forse non ho saputo rievocare pienamente il tuo ricordo, tutto ciò che il tuo sorriso rievoca ancora nel mio cuore e in quelli di chi ha avuto la gioia e la fortuna di incontrarti sul suo cammino.

 


 

 

 

logo Comunità di Sant'Egidio

 

Post più popolari