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venerdì 11 luglio 2014

Reborn (Miriam Mastrovito)


Qualche mese fa vi avevo anticipato l'uscita di questo libro e il relativo blog tour e oggi finalmente posso condividere anche le mie impressioni di lettura.
Miriam Mastrovito è una brava scrittrice e blogger letteraria (Leggere è magia e Il Flauto di Pan), ma soprattutto un'amica di cui ho già letto e apprezzato anche i precedenti lavori (Il mendicante di sogni e Il mistero dei libri perduti), ma è la prima volta che provo a recensire un suo testo.

Tanti hanno già recensito positivamente Reborn e analizzato le caratteristiche di questo romanzo, soffermandosi soprattutto sugli aspetti horror o i paragoni con autori famosi. Non essendo un esperto del genere mi soffermerò su altri aspetti finora forse inesplorati.





Reborn non è solo un romanzo horror, ma anche una storia d'amore.
L'amore di una donna che ha perso la sua famiglia, ha visto morire suo marito Andrea e sua figlia Martina in un terribile incidente stradale e cerca di preservare il loro ricordo, tutto ciò che le resta ormai di loro.
L'amore di una madre che, in maniera forse infantile cerca di vivere una vita apparentemente normale, continuando ogni anno a preparare una deliziosa torta per il compleanno della sua Martina e a regalarle una delle bambole reborn che restaura e riporta a nuova vita nel suo piccolo negozio.

In occasione del decimo compleanno della bambina, dopo aver lasciato la nuova bambola sul letto della piccola, accade qualcosa di strano. Nella sua vita compare, irrompe improvvisamente Rea e tutte le sue certezze sembrano crollare.
Chi è questa bambina che dice di essere sua figlia, pur essendo completamente diversa dal ricordo che ne ha Elga? Che di colpo compare al posto di Martina  in tutte le vecchie fotografie  e che tutti riconoscono come sua figlia, miracolosamente scampata all'incidente.
Perchè Rea somiglia così tanto all'ultima bambola che Elga ha realizzato per il compleanno della bimba? E perché nessuno ricorda più la morte, la stessa esistenza di Martina?
Tranne lei. Sono ricordi reali o solo allucinazioni dovute al lungo periodo vissuto in coma?

Elga inizialmente ha una reazione di rifiuto nei confronti di Rea e solo con fatica riuscirà a convivere con la sua presenza ingombrante e le sue stranezze. Dovrà imparare ad accettare la presenza della bambina, evitando di paragonarla a Martina (o meglio al suo ricordo ormai vivo solo nel suo cuore), ma al tempo stesso con la paura di usarla come surrogato per colmare il vuoto affettivo.
Dopo la tragedia nella sua vita non c'è più spazio per l'amore, per le amicizie; ci sono solo i ricordi e il suo strano laboratorio, malvisto in paese quasi fosse un luogo stregato.

Nella sua perenne ricerca di tranquillità e solitudine, Elga deve pure affrontare la corte assillante di Iuri, giovane che lavora nelle onoranze funebri del signor Di Spirito e che continua a perseguitarla, seguendola dappertutto nel tentativo, spesso vano, di scambiare qualche parola con lei.
Un uomo innamorato perso, uno stalker, diremmo oggi, spinto da un amore folle e senza speranza, continuamente rifiutato e respinto, ma sempre presente al suo fianco, a volte in maniera ingombrante, ma sempre con rispetto.
Paradossalmente sembra che Iuri sia ormai l'unico amico che le sia rimasto, l'unico disposto ad ascoltare la sua storia apparentemente assurda. L'unico che ha instaurato un rapporto di amicizia con Rea e nota alcune stranezze nel suo comportamento e nei suoi ricordi. L'unico che rammenta l'esistenza di Martina e conosce il misterioso Ogma, personaggio surreale, esageratamente teatrale, ambiguo e irreale. Una nota fantasy che stravolge l'ambientazione realistica della storia.

Le vicende sono ambientate a Gioia del Colle, paese in provincia di Bari in cui vivo anch'io; per questo ho potuto apprezzare i riferimenti a luoghi esistenti, come Piazza Pinto e il Cimitero. Una scelta coraggiosa; non credo ci siano molte storie ambientate nel nostro paese.

La narrazione è fluida e ben scritta e riesce a rendere bene le emozioni dei protagonisti:
  • lo stupore, il rifiuto, la paura di Elga; 
  • il senso di spaesamento di Rea, allontanata da sua madre e fuori dal suo tempo e il suo legame con Iuri, di cui riconosce la disponibilità; 
  • l'abnegazione di Iuri, pronto ad aiutare Rea e Elga, nonostante i continui rifiuti e rimproveri della donna nei suoi confronti.
Ogni capitolo è arricchito da una citazione tratta da un brano musicale, come per condividere la colonna sonora (playlist 1 e 2) che Elga ascolta all'interno del suo laboratorio.
Una scelta che forse distoglie l'attenzione dalla storia e appesantisce un po' il passaggio tra un capitolo e l'altro, ma arricchisce il nostro bagaglio musicale. Ammetto di non conoscere la maggior parte dei brani citati.

Completano il quadro altri piccoli personaggi di contorno:
  • Elisa, la mamma di Elga, donna religiosa e apparentemente affettuosa nei confronti della piccola Rea, ma decisa ad imporle le proprie regole, forse più per fare un dispetto a sua madre con cui è da sempre in disaccordo su tutto;
  • Costanza, la vicina pettegola e un po' impicciona, personaggio caratteristico della vita dei paesini di provincia;
  • Filippo, il custode del cimitero, amico di Iuri;
  • il dottor Abruzzo, medico di Elga che cerca di curarla dalle sue presunte allucinazioni.
  • Santino, il barbone che vive in un loculo, pregando sempre per la buona salute della legittima proprietaria per non perdere il suo temporaneo rifugio.
Difficile raccontare altro senza ricadere nello spoiler e rischiare di rovinarvi il piacere della lettura di questa storia appassionante, coinvolgente e a volte sconvolgente, che fa riflettere sul confine tra la vita e la morte, al di là delle convinzioni religiose di ciascuno.

A Reborn è dedicato anche un blog, dove potete trovare ulteriori notizie.

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Titolo: Reborn
Autore: Miriam Mastrovito
Traduttore: -
Editore: Youcanprint
ISBN: 9788891137036
Formato: cartaceo e epub
Scheda cartaceo: Youcanprint - IBS
Scheda ebook: IBS - Amazon - BookRepublic - Ultima Books

Recensione pubblicata anche su Braviautori il 11/07/2014
http://www.braviautori.com/book_reborn.html

martedì 7 maggio 2013

Pulcioso

Racconto scritto qualche anno fa, classificatosi al terzo posto durante il contest online "I racconti del 10" organizzato dal Forum Autori Esordienti nel 2010, dove partecipavo con il nick Bludoor.

La storia di una tenera amicizia fra una bambina e un cane randagio, ma anche un'occasione per riflettere su un tema sgradevole e un pericolo sempre in agguato.


Il vecchio cane si trascinava stancamente per la via. Non aveva un padrone, né un posto dove andare. Andava avanti, vivendo della carità della gente, ma restando sempre libero, fiero della propria indipendenza.
Non aveva un nome e ne aveva tanti. Ogni bambino lo chiamava in un modo diverso, ma erano nomi umani. Nessuno gli stava bene davvero.
Molti lo cacciavano via, apostrofandolo in mille modi, chiamandolo con disprezzo “vecchio cane pulcioso”. Il vecchio cane aveva sentito ripetere quelle parole tante volte e alla fine aveva deciso di sceglierle come proprio nome, aveva scelto di chiamarsi Pulcioso.
Un nome strano, che male si adattava ad un cane, ammesso che ne comprendesse il significato, ma era il suo, quello che ormai lo identificava, al di là di tutti i nomignoli che gli altri cercavano di affibbiargli.
Pulcioso si rintanava negli angoli delle strade, per stare lontano dalla gente.
Non amava gli uomini. Sapeva che sono capaci di amare, di avere compassione, ma non dimenticava che spesso sanno tradire, odiare, torturare in maniera atroce.
Aveva visto tanti suoi compagni fidarsi delle loro carezze per poi finire abbandonati ai bordi di una strada, ormai incapaci di badare a se stessi.
Li aveva visti aggirarsi spauriti per le vie, presi a sassate da ragazzi annoiati, uccisi dal veleno nascosto in qualche succulenta vivanda o sventrati dalle auto che sfrecciavano veloci intorno a loro.
Aveva imparato a riconoscere le persone buone dalle altre, a capire quando poter accettare cibo e affetto dagli uomini, ma rimaneva sempre diffidente.
In genere evitava anche gli altri cani.
Lo innervosivano. Soprattutto non gli piacevano le bande che si aggiravano per le strade abbaiando rumorosamente, spaventando, spesso mordendo la gente, convinti di potersi conquistare così uno spazio nel mondo degli umani.
Procuravano guai, soltanto guai.
Aveva imparato a stare per conto suo, lontano dalle bande, ma vicino quel tanto che gli bastava per essere rispettato. Si era ritagliato il suo angolo, il suo piccolo spazio e non voleva essere disturbato.
C'era soltanto una persona alla quale era particolarmente affezionato: Paola, una ragazzina di circa dieci anni, di aspetto minuto, con lunghi capelli biondi che le ricadevano dolcemente sulle spalle, occhi castani grandi, come spalancati sul mondo, e un sorriso caldo, travolgente.
Pulcioso amava quello sguardo, quel sorriso. L'aveva incontrata per caso mentre tornava da scuola e se ne era subito innamorato.
All'inizio l'aveva seguita a distanza, stando attento a cogliere le sue reazioni, pronto ad allontanarsi al minimo cenno di spavento della ragazzina.
Aveva imparato a riconoscere subito chi aveva paura dei cani e a mantenersi rispettosamente a distanza. Una persona spaventata poteva causargli solo guai, meglio starne alla larga; era la sua semplice filosofia di vita, l'unico modo per sopravvivere serenamente.
Paola si era lasciata seguire per un po', poi lo aveva chiamato sorridendo. Pulcioso si era avvicinato piano, si era lasciato accarezzare, aveva accettato il suo cibo, era subito diventato suo amico.
La bambina lo aveva chiamato Tom. Era solo un altro nome, uno dei tanti, ma alla sua voce accorreva sempre.
Il vecchio cane ogni mattina si acciambellava davanti al suo portone e poi la seguiva discretamente fino a scuola. Non voleva che lei lo notasse, che capisse l'affetto che provava per lei, che gli si affezionasse troppo.
"Nessun legame" era sempre stata la sua regola, l'unico modo per rimanere sempre un cane libero.
Di solito la guardava da lontano, assicurandosi che nessuno le desse fastidio, accontentandosi di vedere il suo sorriso. Solo ogni tanto si avvicinava scodinzolando e percorrevano la strada insieme.
A volte i genitori di Paola andavano a prenderla da scuola e allora Pulcioso si allontanava, seguendoli con lo sguardo.
Non amava gli adulti. Aveva sperimentato tante volte le loro apprensioni per i figli, era stato spesso allontanato in malo modo dai suoi piccoli amici.
Per i grandi lui era solo un randagio, un vecchio cane pulcioso da cui stare a distanza.
Quel giorno i genitori di Paola non c'erano, ma la ragazzina si incamminò in compagnia di un uomo dall'aria distinta, sui sessant'anni, stempiato e con folti baffi grigi. La ragazzina sembrava conoscerlo, forse era un suo parente, e cosi Pulcioso si allontanò mestamente, seguendoli a distanza per un breve tratto.
Il suo sguardo correva sempre alla ragazzina e allo sconosciuto che la teneva premurosamente per mano, parlandole con tono pacato.
Sembrava tutto tranquillo, ma il cane istintivamente si voltò a guardarli ancora, prima di perdersi tra i vicoli. E d'un tratto si rese conto che Paola non stava percorrendo la solita strada.
L'uomo la stava conducendo verso una stradina secondaria, un vicolo cieco fatiscente, frequentato solo da cani e gatti randagi e raramente da coppiette in cerca di intimità.
Non c'erano abitazioni in quella strada, lo ricordava bene, solo pietrisco e assi di legno ammuffite, residui di un vecchio cantiere edile da tempo abbandonato.
Era strano che passassero di là, la casa di Paola era da tutt'altra parte...
Il cane preoccupato aumentò l'andatura, portandosi silenziosamente a pochi metri dai due, senza farsi notare.
Lo sconosciuto portò la bambina nel vicolo, stringendole forte la mano e le parlò.
Pulcioso non comprendeva le sue parole, ma capiva dal tono che dovevano essere parole di minaccia. La ragazzina era rannicchiata contro il muro, spaventata, e piangeva piano.
L'uomo le fece segno di tacere e poi, lentamente, cercò di tirarle giù i pantaloni.
Paola rimaneva immobile, come impietrita dal terrore. Non riusciva in alcun modo a reagire, a cercare di divincolarsi o a chiedere aiuto.
L'uomo le parlava dolcemente, come a volerla rincuorare, ma intanto le sue mani cercavano di spogliarla, di toccarla dove lei non voleva.
Pulcioso non comprendeva quel che stava accadendo, ma vedeva le lacrime della bambina, udiva i suoi singhiozzi repressi. Capì che l'uomo voleva farle del male e si scagliò contro di lui, abbaiando furiosamente e mordendo con rabbia.
Era la prima volta che mordeva un essere umano. Sapeva che era una cosa vietata, che poteva anche costargli la vita, ma non gli importava.
Quell'uomo stava facendo del male a Paola, alla sua piccola amica e aveva il dovere di proteggerla, a ogni costo.
L'uomo urlò di dolore, cercò di allontanarlo, di prenderlo a calci, ma Pulcioso era troppo esperto per farsi cogliere di sorpresa, nonostante il fisico non più tanto agile.
Si era interposto tra lui e la bambina, ringhiando e abbaiando rabbiosamente, come mai aveva fatto in tutta la sua vita. Quell'uomo poteva colpirlo, fargli male, ma non doveva in nessun caso avvicinarsi ancora a Paola. Non glielo avrebbe permesso.
L'uomo raccolse da terra un asse pieno di chiodi arrugginiti e cominciò a rotearlo come un bastone in segno di minaccia, dirigendosi verso la bambina. Zoppicava un po' e la gamba sinistra sanguinava leggermente; qualche morso era andato a segno.
Pulcioso non si tirò indietro. Si rannicchiò leggermente, pronto a saltare di nuovo addosso all'aggressore, se si fosse avvicinato troppo.
Paola adesso urlava forte, appiattita contro il muro, con ancora i pantaloni sbottonati e calati fin quasi alle ginocchia. La presenza del suo amico a quattro zampe la faceva sentire meno indifesa, l’aveva in parte risvegliata dal torpore e dato la forza per chiedere aiuto, ma era ancora troppo spaventata per riuscire a rivestirsi e fuggire via.
Alcuni ragazzi che tornavano da scuola sentirono le sue urla disperate e i latrati minacciosi del cane e accorsero, credendo che la ragazzina fosse stata aggredita da qualche cane randagio inferocito.
Si avvicinarono per aiutarla, ma l’uomo li invitò ad allontanarsi, dicendo di avere ormai la situazione sotto controllo. Cercò di convincerli di essere intervenuto in difesa della ragazzina contro quel cane pericoloso.
Ma quei jeans sbottonati, la piccola che sembrava temere più il suo salvatore del cane, solitamente tranquillo… bastarono pochi istanti per comprendere l’accaduto.
Un ragazzo gli intimò di lasciare il bastone, ma l’uomo si diresse verso di lui con aria minacciosa, urlando frasi senza senso.
Un altro raccolse allora una pietra e gliela scagliò contro, colpendolo al braccio destro. Anche gli altri raccolsero sassi, assi e qualunque cosa trovarono a portata di mano e lo circondarono, pronti a difendere la piccola.
Pulcioso rimaneva immobile davanti a Paola, abbaiando e fissando l'uomo, deciso solo a tenere chiunque lontano da lei.
L'uomo esitò un istante, poi comprese di essere ormai in trappola e dovette arrendersi, bloccato li dai ragazzi fino all'arrivo della polizia.
Venne arrestato e si scoprì che in passato aveva abusato di altre ragazzine, attirandole con i suoi modi gentili e poi costringendole al silenzio con le minacce.
Era la prima volta che veniva colto sul fatto e ciò forse avrebbe permesso finalmente di fargli pagare anche le malefatte passate.
Pulcioso venne acclamato come un eroe. La sua storia finì sui giornali e il comune decise di conferirgli una speciale onorificenza: un collare nuovo con una medaglietta particolare, una sorta di autorizzazione a circolare liberamente.
Rimase libero, non poteva stare alla catena, ma ormai non era più un randagio qualunque. Era felice di poter finalmente trascorrere le giornate con i suoi piccoli amici senza timore di essere catturato dall'accalappiacani o allontanato dagli adulti.
Tutti gli volevano bene, perfino i genitori adesso si sentivano al sicuro, protetti, se i loro figli erano con lui.
Ogni giorno i genitori di Paola preparavano il cibo per il vecchio cane e la piccola ci teneva ad offrirglielo sempre personalmente, accompagnandolo con un sorriso.
Per il vecchio cane quel sorriso era la ricompensa più grande, la più ambita, di fronte alla quale tutti i suoi nuovi privilegi non contavano niente.
Era il segno di un'amicizia vera, profonda, di un legame, il primo della sua lunga vita di vagabondo.



Ultimo aggiornamento testo -  01/03/2010

Questo racconto è presente anche sui siti Mondo Parallelo e Goodreads, che ringrazio per l'ospitalità.

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